venerdì 3 maggio 2024
LA DENUNCIA Le tante facce precarie dell’appalto
Nella campagna promossa da Cgil e categorie un focus sulle storture di un sistema ormai strutturale, diffuso in tutti i settori pubblici e privati
PATRIZIA PALLARA
Partiamo da un presupposto. Se un’azienda o un ente dà in appalto un servizio lo fa spesso per risparmiare. Questo è un dato incontrovertibile e inconfutabile. La gara tra chi propone di fornire il servizio si gioca nella quasi totalità dei casi sull’offerta più bassa o più vantaggiosa. Ma l’impresa che si aggiudica l’appalto su cosa risparmia? Sui tempi di esecuzione e sui costi necessari a svolgere l’attività, quindi sui materiali, sulla sicurezza, sul lavoro.
A pagare il prezzo del ribasso, quindi, è sempre chi lavora. Innanzitutto il salario e il contratto spesso non vengono rispettati. Poi la formazione e la tutela della salute e della sicurezza sono trascurate o completamente omesse. Inoltre, al cambio di appalto non è detto che il lavoratore mantenga il posto o che lo mantenga alle stesse condizioni. Il lavoro in appalto è quindi molto precario, incerto, a rischio.
FENOMENO STRUTTURALE
Ad accendere i riflettori sul settore è la campagna della Cgil, promossa insieme alle sue categorie, “La precarietà ha troppe facce. Combattiamola insieme”, che denuncia come il fenomeno del lavoro in appalto e in sub-appalto sia in forte crescita in tutti gli ambiti produttivi.
E mentre, grazie alla relazione dell’Anac, l’Autorità anticorruzione, sappiamo che la pubblica amministrazione è la più grande stazione appaltante in termini di opere, servizi e forniture, il settore privato è difficile da fotografare. La frammentazione dei cicli produttivi, delle condizioni del lavoro e delle filiere, che sono sempre più lunghe, dimostra comunque che anche qui il sistema si è espanso ed è diventato strutturale.
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