venerdì 25 marzo 2022

Che fine ha fatto la riforma delle pensioni?

PAOLO ANDRUCCIOLI 24/03/2022 - “Non conosciamo le intenzioni del governo sul prosieguo della trattativa, siamo ancora in attesa del tavolo politico con il presidente Draghi", dice il segretario confederale Cgil Roberto Ghiselli": "Ma i tempi stringono, l'intervento sulla previdenza deve essere inserito nel Def” Viaggio sospeso e attesa per una convocazione dei sindacati da parte del governo. La riforma della previdenza - con le nuove norme che dovrebbero superare la legge Fornero - è per ora parcheggiata a bordo pista. Lo scenario politico ed economico ha infatti subito vari shock nell’ultimo periodo, a cominciare dalla guerra in Ucraina. L’incontro con il presidente del Consiglio, Mario Draghi, che si pensava potesse tenersi all’inizio del mese di marzo, è ora in attesa di una nuova data. Con il segretario confederale Cgil Roberto Ghiselli facciamo il punto sulle questioni in sospeso, soprattutto sui tempi della riforma. Segretario, i lavoratori si chiedono cosa stia succedendo. L’incertezza è grande, soprattutto per coloro che speravano in un cambiamento di registro per poter lasciare il lavoro prima dei tetti rigidi fissati dalla legge Fornero. A che punto siamo? Il confronto per una riforma era stato finalmente avviato positivamente. Dopo i primi avanzamenti fatti con il Governo Conte, bruscamente interrotti con la caduta di quell’esecutivo, con il Governo Draghi si era riavviato un dialogo proficuo, seppur tardivo. In vari incontri tecnici con i ministeri competenti abbiamo avuto modo di spiegare più nel dettaglio le nostre proposte contenute nella piattaforma di Cgil, Cisl, Uil. (vedi il pdf allegato, ndr) e interloquire sulle possibili soluzioni. Sulla pensione di garanzia per i più giovani, ad esempio, si è aperta una discussione sulle possibili diverse modalità di realizzazione. Alla nostra proposta d'introdurre una pensione contributiva di garanzia è stato abbozzato un approccio in parte diverso che immagina un mix tra strumenti previdenziali e strumenti assistenziali. Oltre alla pensione di garanzia per i giovani, e in generale per tutte quelle lavoratrici e quei lavoratori che a causa dei loro lavori discontinui e precari non riusciranno a costruirsi una pensione decente, c’è il grande tema della flessibilità in uscita. Su questo sono stati fatti progressi negli incontri tecnici? Prendendo per buona la generica disponibilità manifestata dal governo a introdurre una maggiore flessibilità nell’accesso alla pensione, lo scoglio principale sembra essere il ricalcolo contributivo dell’intero periodo lavorativo. Nella piattaforma unitaria noi proponiamo che si possa permettere alle lavoratrici e ai lavoratori di poter scegliere quando andare in pensione, senza penalizzazioni, a partire dai 62 anni di età o con 41 anni di contributi a prescindere dall’età. Questa proposta è ancor più sostenibile considerando che siamo in un passaggio di fase decisivo per il sistema previdenziale, in quanto le future pensioni saranno liquidate prevalentemente o esclusivamente con il calcolo contributivo, con il quale un eventuale anticipo pensionistico sostanzialmente non comporta costi aggiuntivi per lo Stato. Sempre sul tema specifico, ci sono altre questioni? Sì, certamente. Vanno ridotti sensibilmente i vincoli che nel sistema contributivo condizionano il diritto alla pensione a 64 o 67 anni di età al raggiungimento di determinati importi minimi del trattamento (1,5 e 2,8 volte l’assegno sociale), penalizzando in questo modo i redditi più bassi. Occorre, inoltre, modificare l’attuale meccanismo automatico di adeguamento delle condizioni pensionistiche alla speranza di vita, doppiamente penalizzante perché agisce sia sui requisiti anagrafici e contributivi di accesso alla pensione sia sul calcolo dei coefficienti di trasformazione: quindi, si va in pensione sempre più tardi con pensioni sempre più basse. Bisogna anche scongiurare il rischio che lunghi periodi di congiuntura economica negativa, come accaduto negli ultimi anni, determinino effetti sfavorevoli sulla rivalutazione del montante dei contributi accantonato e quindi sulle prestazioni pensionistiche. Le difficoltà, almeno per quanto riguarda i contenuti della riforma, si evidenziano nei costi. Per abbassare l’incidenza sulla spesa previdenziale il governo potrebbe insistere con misure di flessibilità nelle uscite che penalizzano però i lavoratori e le lavoratrici… Esatto, lo abbiamo visto ad esempio con 'opzione donna': il ricalcolo applicato finora determina pesanti penalizzazioni per le lavoratrici. Andando a guardare gli assegni previdenziali per le lavoratrici che hanno scelto di lasciare il lavoro con 'opzione donna' sono evidenti le penalizzazioni, che in molti casi superano anche il 30 per cento dell’importo della pensione. Se il governo proponesse di utilizzare lo stesso meccanismo per poter andare in pensione prima dei 67 anni per noi sarebbe inaccettabile, perché estremamente penalizzante per tutti e insostenibile per le fasce più deboli della popolazione lavorativa. E per quanto concerne le donne e il lavoro di cura, pensiamo a soluzioni più eque e incisive.

Nessun commento: